Parlando del tempio greco, non possiamo non parlare dei loro sistemi costruttivi. Il trilite è il sistema costruttivo che più caratterizzò l’architettura greca. Era l’elemento di continuità con il periodo minoico-miceneo e continuerà ad esserlo anche nel periodo romano. Osservando i templi greci, al di là degli stili e dell’architettura in sè, non possiamo fare altro che osservare un modo di costruire affascinante simile a un mosaico di pietre. La muratura è intesa come sistema costruttivo più che come materiali da costruzione. Infatti, gli elementi erano organizzati in due tipologie di blocchi. I primi definiti “ortostati” erano allineati con il loro lato maggiore secondo il lato maggiore della parete ed erano principalmente usati per lo zoccolo inferiore del tempio. I secondi “diatoni” venivano disposti di traverso.
Il tempio e la tecnica costruttiva
Anche i greci avevano accorgimenti antisismici. Questi accorgimenti erano principalmente applicati nelle masse murarie del tempio. Qui era loro uso inserire elementi lignei e ganci di metallo di bronzo che venivano successivamente sigillati con piombo fuso colato nei fori. Le singole tessere a blocchi erano perfettamente squadrate. Negli elementi meno importanti, venivano perfettamente squadrati e lisciati i bordi, mentre veniva lasciato al grezzo la superficie non di contatto. Le intercapedini erano molto utilizzate nelle trabeazioni. Servivano ad alleggerire il peso sugli architravi conferendo maggiore resistenza all’elemento. I grossi elementi geometrici in pietra venivano suddivisi in parti e assemblati come un tutt’uno. E’ la tecnica che viene utilizzata oggi con le strutture in legno lamellare, il quale conferisce leggerezza e un momento d’inerzia nettamente favorevole a parità di sezione. Gli incastri dovevano essere perfetti, e la geometria dell’incastro doveva perfettamente combaciare con quella dell’elemento ospitante.
Il tempio costruito senza cemento
Tutti gli elementi venivano incastrati perfettamente a secco, cioè senza interposizione di malta tra le superfici dei giunti. Poi il lavoro veniva fatto dalla forza di gravità e dall’attrito. Ma anche dai “diatoni” e dai collegamenti metallici utilizzate come graffe. In strutture del genere, il peso degli elementi era importante e serviva a tenere saldo tutto l’apparato strutturale che era assemblato in situ. Questo a sua volta scaricava il suo peso sulle fondazioni. Anche i templi greci avevano le fondazioni. Erano continue e costitutite in elementi in pietra posata a secco sotto i muri della cella; ma anche lungo la peristasi delle colonne. Il materiale di scarto serviva poi a riempire il tutto, anche se a volte, venivano utilizzati siti con banchi di roccia affiorante. Insomma una moderna fondazione continua a trave rovescia ma senza intercapedine.
I materiali
I materiali utilizzati, evitando di parlare del legno, era principalmente il calcare. Il calcare veniva utilizzato principalmente per colonne e trabeazione, ma tutto dipendeva dalle cave disponibili nelle vicinanze del cantiere. Per esempio nel Partenone troviamo marmo bianco pentelico proveniente dall’omonimo monte che si trova a circa 5km da Atene. Nei templi di Paestum, in Italia, troviamo l’arenaria e il travertino che hanno dato un bel po di problemi. Il primo è molto lavorabile ma poco resistente in quanto microporoso. Il secondo più compatto ma altrettanto macroporoso. A Segesta e Selinunte in Sicilia, invece venne usata l’arenaria tufacea proveniente dalle Cave di Cusa. Questo materiale venne utilizzato principalmente per gli elementi strutturali, in quanto la forte presenza di quarzo non consentiva la modellazione per le parti decorative come le metope.
Il cantiere
Non dimentichiamoci di quanto complessa doveva essere la cantieristica in quel periodo in assenza di elementi motorizzati. Tra tutti i mezzi di trasporto e i meccanismi che venivano utilizzati per il sollevamento e il posizionamento degli elementi in situ. Principalmente stiamo parlando di leve, piano inclinato e carrucole. Il cantiere era sicuramente spartano e non moderno, ma si basava tutto sull’uso delle funi, degli intagli nei blocchi per alloggiare le funi utilizzate per il sollevamento e dagli “umboni” sporgenti che venivano lasciati durante il montaggio per essere poi rimossi in un secondo tempo durante gli interventi di rifinitura. Non dimentichiamoci delle macchine di “Tesifonte” e “Metagene” per il trasporto dei blocchi, nonchè l’uso di cunei, martelli, pale e picconi, ma anche le leve utilizzate per l’estrazione della pietra.
Non esisteva la chimica
La cosa positiva è che il tutto avveniva con l’uso di elementi naturali a scapito della forzam e del lavoro di gomito che era fondamentale. Sicuramente pesante era il lavoro e non godevano della normativa per la sicurezza. Inoltre, non esisteva la chimica che spinge oggi molto sui leganti. Una cosa era sicura, la presenza di maestranze che sapevano fare degnamente il loro lavoro. Stiamo parlando degli scalpellini che rifinivano il tutto, ivi inclusi gli stuccatori, pittori, scultori, che al di là delle correzioni ottiche prospettiche, effettivamente crearono opere d’arti oggi difficilmente replicabili per maestria. Il Partenone, di cui oggi si parla per la ricostruzione della cella, è l’esempio supremo.
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